martedì 30 novembre 2010

Ominidi, umanoidi, umani

Il titolo mette in luce il processo evolutivo, che caratterizza il cammino della nostra specie (Homo sapiens sapiens) attraverso gli abissi del tempo. Come anticipato in un post precedente, il nostro presente si confronta con uno stadio intermedio compreso fra l'ominide e l'umano.
Rispetto ai primi tentativi evolutivi abbiamo definitivamente perduto il sacro legame con la natura, che caratterizzava il nostro progenitore, un mammifero molto simile ai primati, ma con una morfologia anatomica nuova: un bizzarro mosaico, dove la stazione eretta, il pollice opponente e un volume cranico maggiore hanno determinato un salto evolutivo di proporzioni gigantesche.
Ma lo sviluppo cerebrale di un ominide non può lontanamente competere con la sofisticazione neurale dell'uomo attuale. La famosa tripartizione del cervello proposta da McLean alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso ha evidenziato tre livelli evolutivi differenziati: il cervello rettiliano (formazioni arcaiche dell'encefalo), quello mammaliano (in comune con i mammiferi) e il neoencefalo (corrispondente allo sviluppo recente della corteccia cerebrale negli ultimi 160.000 anni). Nell'attuale stadio è molto frequente osservare comportamenti socio-affettivi, che pur rimanendo ancorati a rigidi schemi rettiliani, approfittano della sofisticata rete neoencefalica (quella più recente) per ottenere con nuove strategie evolutive il soddisfacimento di bisogni elementari (predazione, accoppiamento, riproduzione, etc.), invariati da milioni di anni.
In altre parole abbiamo perso la primitiva innocenza dell'ominide senza aver conquistato ancora un livello evolutivo, che possa definirsi "umano" in senso compiuto: pochi esempi di uomini "umani" punteggiano come fiammelle solitarie il desolante buio della nostra storia e del nostro imperscrutabile viaggio terreno.

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